mercoledì 25 aprile 2012

Intervista a Robert Pattinson per Cosmopolis - Cinerepublic

Grande intervista pubblicata da Cinerepublic a Robert Pattinson, dove il nostro vampiro preferito parla del suo prossimo film in uscita il 25 maggio in Italia, Cosmopolis dello scrittore Don De Lillo e diretto da David Cronenberg. Via Cosmopolis Italia
 

Aveva già familiarità con il romanzo di Don DeLillo?
No. Ma avevo letto alcuni degli altri suoi libri. Ho letto prima la sceneggiatura inviatami da David Cronenberg e solo in seguito il romanzo. Il copione è talmente fedele al libro che sembra quasi incredibile, soprattutto se si considera che Cosmopolis era ritenuto impossibile da adattare. Già prima di leggere l'opera di DeLillo, quello che mi colpiva della sceneggiatura era il ritmo concitato e l'implacabile tensione.
Cosa c'era in questo film che ha suscitato la sua attenzione?
Cronenberg, senza ombra di dubbio! Ho girato pochissimi film e non riuscivo ad immaginare come sarebbe stato lavorare con lui. Non sono rimasto deluso... sapevo che avrebbe giocato con la sua creatività e che quest'esperienza mi avrebbe segnato. Mi sono lasciato coinvolgere dalla sceneggiatura allo stesso modo in cui si può essere affascinati da una lunga poesia, una poesia molto misteriosa. Di solito, quando si legge una sceneggiatura, si capisce in maniera veloce di cosa parla, dove andrà a parare e come finirà, nonostante ci siano colpi di scena inaspettati o soluzioni sofisticate che intervengano nel corso della storia. Con la sceneggiatura di Cosmopolis, invece, è stato completamente diverso: più leggevo e non riuscivo a capire come si sarebbe evoluta e più mi spingeva a pensare di voler far parte del film. Non sarebbe stato come girare un film qualsiasi ma un'occasione a sé stante e irripetibile.

La prima volta che ha letto la sceneggiatura si è visto nel ruolo, si è immaginato come sarebbe stato?
Niente affatto. La prima volta che ho parlato con David gli ho infatti spiegato che non riuscivo a prefigurami nulla e lui mi ha rassicurato dicendomi che era un buon segnale. Da quel momento, non mi sono posto molti interrogativi e ho lasciato che tutto il testo si evolvesse in maniera progressiva e organica, trasformandosi nelle scelte visive che avrebbero formato il film. Si è trattato di un processo vivo, anche se durante la prima settimana di riprese tutti ci stavamo ancora chiedendo che direzione avrebbe preso ogni cosa una volta terminato di girare. Tutto era molto affascinante, era come se il film si modellasse passo dopo passo.
Ora che è pronto, il film si discosta molto dalla sceneggiatura o, al contrario, si è attenuto a ciò che era sulla carta?
Difficile da dirsi, il film si muove su diversi livelli. L'ho visto finora due volte. La prima sono rimasto stupito dal suo lato farsesco: mentre giravamo sapevo quali erano i toni ma vederli sullo schermo è stato straniante. La seconda volta, invece, ha preso il sopravvento il peso di ciò in cui ero stato coinvolto. Si è trattato di due proiezioni private per testare l'accoglienza del pubblico, le cui reazioni sono state
variegate e di ampio raggio, passando dal sorriso alla tensione.
Nonostante la sua complessità, sono rimasto stupito di come Cosmopolis sia stato capace di provocare una così vasta gamma di emozioni.
Secondo lei, chi è Eric Packer? Come lo descriverebbe?

Per me, Eric si sente come una persona che appartiene ad un altro universo, che vive come se fosse nato su un altro pianeta e che quindi cerca di scoprire in che realtà dovrebbe vivere. Molto più semplicemente, Packer non capisce com'è il mondo e come funziona.
Tuttavia, ha abbastanza conoscenza del mondo in cui vive da riuscire a crearvisi una fortuna.
Si ma in modo molto astratto. Banking, intermediazione e speculazione sono attività scollegate tra loro. Se è riuscito bene in tutto non è perché è uno secialista del settore. Semmai, è grazie a un istinto molto raro, qualcosa di molto misterioso e profondo, che riesce a trattare gli algoritmi come se fossero formule magiche. Nel film, come nel libro, si può vedere che il suo approccio ai dati finanziari tende a proiettarlo sempre nel futuro, tanto che non sa più come vivere il presente. Probabilmente, in qualche modo, riesce a cogliere anche i meccanismi del mondo che lo circonda ma solo in maniera particolare e oscura.
Ne ha discusso con David Cronenberg?
Un po', si. Ma a lui piaceva quando io cercavo risposte a qualcosa di inspiegabile. In particolare, apprezzava quando cominciavo a recitare senza sapere bene quello che stavo facendo e, non appena si rendeva conto che stavo dando vita a delle sequenze di causa ed effetto, mi bloccava. Era un modo molto strano di dirigere, basato interamente sui sentimenti piuttosto che sulle idee.
Come si è preparato per il ruolo?
A David non piacciono le prove.Non abbiamo parlato molto del film prima che cominciasse a girare. Durante la produzione, ho incontrato gli altri attori solo sul set e solo lì ho scoperto come sarebbero letteralmente apparsi nella limousine di Eric Packer. Ed è stato abbastanza piacevole.
Fin dall'inizio delle riprese, è come se io avessi vissuto all'interno del film e della macchina: ero sempre lì, era diventata la mia casa e nel mio spazio accoglievo tutti gli altri attori, venuti in visita mentre io rimanevo seduto su quella specie di trono. Sentirsi un tuttuno con quell'ambiente in velluto è stato abbastanza confortevole e tutti gli altri hanno dovuto in pratica adattarsi a ciò che era il mio mondo.
Ha avuto indicazioni sull'aspetto del suo personaggio o sul vestiario?
Si, l'importante però era che Packer avesse un aspetto neutro. Abbiamo quindi cercato di evitare le caratteristiche più ovvie e stereotipate degli uomini d'affari. L'unica discussione è stata solo sulla scelta degli occhiali da sole da indossare all'inizio, ne ho cercato un paio che fossero anonimi e che non rivelassero nulla del personaggio.


Fa molta differenza girare le scene nello stesso ordine cronologico della sceneggiatura?
Ritengo che sia stato molto importante, si crea un effetto cumulativo che modella tutto il film. All'inizio delle riprese, nessuno conosce quello che sarà il tono finale... beh, forse solo David ma non l'ha mai lasciato intendere. Per la troupe, l'identità della pellicola si è costruita man mano che Packer rivelava qualcosa in più su di sé. Inoltre, girare in ordine mi ha permesso di cogliere a pieno l'essenza di Packer nel momento in cui la sua vita sta progressivamente cadendo a pezzi.


Una delle particolarità del suo ruolo è che, uno dopo l'altro, si ritrova a dover incontrare e interagire con attori differenti. Come ci si sente?
Quando ho accettato di fare il film, l'unico attore già ingaggiato era Paul Giamatti, che ho sempre reputato un grande. Poi, è stato quasi magico e spaventoso vedere Juliette Binoche, Samantha Morton e Mathieu Amalric trasformarsi nei loro personaggi. Ognuno di loro ha portato in scena un tono diverso e non sarà stato facile essere in poco tempo come David aveva loro richiesto. Hanno dovuto trasformare la loro recitazione e farsi guidare dal contesto. Io ero dentro al mondo di Cosmopolis da tempo ma loro hanno dovuto abituarsi subito a quella realtà ed entrare in sintonia con il suo ritmo. Mentre giravamo, Juliette Binoche è stata molto partecipe anche del processo creativo, suggerendo diverse ipotesi di recitazione messe poi in atto.


Con questo vuole dire che ci sono vari stili di recitazione, dettati soprattutto dalle diverse nazionalità degli attori? O tutti gli attori si sono attenuti alle disposizioni di Cronenberg?
Ci sono sensibilità diverse e credo che David non desiderasse altro. Paradossalmente, questa diversità è sottolineata da tutti i personaggi che sono presumibilmente americani, ad eccezione di quello di Mathieu Amalric. Tale diversità è collegata alla città di New York, dove tutti sembrano provenire da luoghi diversi e dove la lingua madre di tante persone non è l'inglese. Naturalmente, il film non mira a ricreare effetti di realismo: si svolge a New York ma non si insiste mai su una determinata collocazione. Avere attori con background differenti che rispecchiano quelli della città contribuisce semmai a donare a Cosmopolis stranezza e astrazione.
Per quanto la riguarda, ha avuto in mente qualche modello o attore a cui ispirarsi?
Al contrario. In realtà, ho solo cercato di evitare qualunque riferimento possibile. Non volevo che il pubblico di fronte a Cosmopolis si ricordasse di altri film con al centro Wall Street, il mondo della finanza e dei ricchi banchieri. Dovevo trovare un approccio tutto mio piuttosto che fare affidamento su atteggiamenti e recitazione ad effetto già visti.


Ricorda se Cronenberg ha mai avuto richieste particolari mentre lavoravate insieme?
Ha insistito sul fatto che pronunciassimo ogni parola del copione alla lettera, i dialoghi dovevano essere quelli già scritti. Non avrebbe tollerato nessun cambiamento. La sceneggiatura si basa in gran parte sul ritmo e dovevamo far attenzione alla dizione. Ma l'approccio di David era molto positivo, pochi ciak sono stati ribattuti e questo mi sembrava quasi spaventoso. Appena arrivato sul set Paul Giamatti ha dovuto recitare un lungo monologo tutto d'un fiato e David è riuscito a girarlo senza alcuna interruzione. Sono rimasto affascinato sia dalla prestazione di Paul che dalla prontezza e dalla sicurezza di David.


Le è piaciuto lavorare in questo modo e attenersi scrupolosamente ai dialoghi scritti?
Era qualcosa che ancora non conoscevo e che è stato uno dei motivi principali per cui ho accettato di fare Cosmopolis. Non avevo mai fatto nulla di simile, di solito i copioni pongono le basi da seguire e ogni attore dà il suo contributo, cucendosi addosso il personaggio. Nei miei film precedenti, i dialoghi erano flessibili. Questa volta, invece, è stato come recitare a teatro: quando porti in scena Shakespeare, non puoi certo cambiare i versi.


In qualche modo, la limousine è un po' come un palcoscenico.
Certo. E, poiché tale contesto si presta a diversi tipi di scene, devi essere sempre pronto a cambiar registro. Dopo tanti anni dai miei inizi teatrali, mi sono ritrovato a dover imparare tutte le battute. Vivi in costante tensione, devi stare sempre attento ma sai che avrai un risultato migliore. Anche se sono stato costretto a vivere da recluso durante le riprese — dovevo conoscere a perfezione la parte, studiare decine di pagine al giorno e mettere tutto a fuoco — ne è valsa la pena: mi ha lasciato una sensazione piacevole, superiore a quella provata sulla maggior parte dei set in cui tutto è frazionato.


Quale è stata la maggiore difficoltà mentre girava?
La cosa più inquietante è stata interpretare un personaggio che non passa attraverso un'evidente evoluzione e non segue un percorso prevedibile. In realtà, Packer cambia, ha un'evoluzione da inferno, ma non è come il pubblico è abituato a vedere. David ha tenuto tutto sotto controllo. Non avevo mai lavorato prima con un regista che, curando ogni minimo aspetto del suo film, si ritenesse anche responsabile di ogni cosa, di ogni piccolo passo. Dapprima l'ho trovato inquietante ma poi, poco a poco, ho acquistato fiducia nei suoi metodi e mi sono lasciato andare.

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